Nel 2002 il “barbudo”, iconico Che Guevara Sergio Cofferati portò in piazza 3 milioni di persone, in uno sciopero generale all’indomani dell’omicidio Biagi, in un rigurgito della Storia di questo travagliato paese.
Cofferati, mentre era al governo Berlusconi, stava lanciando un OPA sulla sinistra orfana di Prodi, scontenta di D’Alema, non ancora piddina, ma che mangiava ancora la piadina. La mobilitazione fu imponente, la più grande manifestazione della Seconda Repubblica, un colpo d’occhio impressionante.
Ma la spallata al governo, ai tentativi di cambiare la legislazione sul lavoro, non riuscì e nemmeno la conquista della leadership della sinistra funzionò. In seguito il compassato chimico della CGIL, nato a Sesto e Uniti, si accontentò di fare il sindaco di Bologna, vendicando l’onta ferale subita dai “compagni” per opera del Guazzaloca detto il Guazza.
Da uno sciopero all’altro
Dopo questa ormai mitologica epopea lo 0,5 mln portato in piazza da Landini rappresenta in pieno la frammentazione della classe, non più operaia, non più militante, di un mondo che riflette appieno la profezia di un premio Nobel come Jeremy Rifkin che predisse la fine del lavoro.
E se termina il concetto di lavoro nella sua accezione industriale, che proviene dalla Rivoluzione inglese, poi diffusa in tutto il mondo per più di due secoli, termina anche il concetto di classe lavoratrice, ormai un pulviscolo, per quanto ancora ampio, di soggetti singoli ed individuali. L’individualismo culturale di questi ultimi quarant’anni hanno atomizzato la società, da popolo, comunità, classi, in gente disaggregata riunita oggi solo in community, gruppi FB, gruppi waths app di genitori e calcetto, padel e cicchetto.
L’impeto smorzato
Un po’ poco per essere un popolo resistente, combattente, militante. Le parole d’ordine, le visioni, financo la protesta sembrano fiacche per quanto piene di cipiglio e voce stentorea. Maurizio Landini proviene dalla pianura emiliana è stato capo dei duri e puri della Fiom, i metallurgici, ma non ha certo l’allure o la passione, e nemmeno il baffetto sensuale, di Mimì, ferito nell’onore, magistralmente interpretato da Giancarlo Giannini che smorzava i toni di una stagione che nelle fabbriche produceva bulloni e terrore armato.
Al tempo di Elon Musk, che tra poco desandicalizzerà il pianeta, sembra tutto troppo smorto, spento, deprimente, senza fervore o furore. Lo sciopero, nel fastidio degli utenti, consumatori e fruitori prima che cittadini sembra smarrito come strumento di lotta.