Seduto alla sua scrivania a Idlib, nella Siria del Nord, Abu Mohammad al Jolani tocca il Corano appoggiato sul tavolo. I suoi uomini avanzano verso Damasco e lui ringrazia Dio di non essere stato impassibile davanti alla Storia. Non è stato immobile come suo padre, Hussein Al Shara. È il 1963 e il partito Ba’ath ha appena preso il potere in Siria. A Fiq, un piccolo villaggio nelle alture del Golan, il giovane Hussein è un panarabista laico e, insieme ad altri ragazzi, membri del partito nasserita, sta per prendere parte ad una protesta contro il nuovo regime. Vengono sparati dei colpi: sono diretti a lui. Una ragazza cade ferita a terra e muore. Hussein scappa, cerca rifugio perché vogliono ammazzarlo. Butta giù una porta e trova una ragazza stesa a letto. “Non parlare, ora me ne vado”. La donna non grida. Hussein esce dal retro e attraversa un uliveto dove ritrova alcuni membri della sua cellula.

Il giorno dopo, verso sera, viene arrestato dalle autorità ma rilasciato quattro giorni dopo, grazie alle pressioni dei notabili locali. Scappa in Giordania. Al suo ritorno in Siria viene incarcerato per un breve periodo. Il figlio Ahmad, futuro combattente di alQaida, conosce la storia del padre, i patimenti. Negli Anni ottanta, a Damasco, il giovane Ahmad è uno studente modello fin dalle elementari. Madre insegnante e padre consulente del ministero del petrolio siriano, il ragazzo cresce nell’agio di una famiglia borghese. Ma l’appellativo di “nazih” – sfollato -, scrivono su Middle East Eye Hamzah Almustafa e Hossam Jazmati, “lo perseguita”. Viene dal Golan, territorio occupato da Israele, un’area rurale che contrasta con la mentalità della capitale, che guarda dall’alto in basso chi proviene da fuori.

Ahmad si sente diverso, raccontano ad Almustafa alcuni ex compagni di classe: “Il senso di disciplina lascia spazio a quello della ribellione”. Poi c’è l’amore. Il ragazzo, ora cresciuto e di bell’aspetto, raccontano che “inizii ad attrarre donne”. Sarà una ragazza, alawita, appartenente alla setta del presidente Bashar al Assad, che lo farà innamorare. Ma entrambe le famiglie, quella di Ahmad, il futuro Jolani, fondamentalista islamico, e della ragazza alawita, si oppongono all’unione. “Sunniti e alawiti non si sposano fra di loro”, riecheggia dalle bocche dei padri. Ma ora le frivolezze lasciano spazio ad altro. L’11 settembre 2001 per Ahmad, come per molti altri futuri fondamentalisti, avrà un impatto enorme: la grande potenza USA è stata attaccata al cuore da dei musulmani che hanno compiuto la Jihad, lo sforzo.

Nei sobborghi di Damasco, con il benestare ufficioso delle autorità siriane, nelle moschee vengono tenuti sermoni da personaggi legati al fondamentalismo islamico. Ad Aleppo avviene lo stesso. Abu Al Qaqa, predicatore fondamentalista, riempie le moschee fra il 2001 e il 2003. Suoi uomini armati stazionavano sempre vicino a lui, con il beneplacito delle autorità di Damasco, interessate a finanziare e supportare la partenza verso l’Iraq di migliaia di giovani siriani. Così facendo, Bashar al Assad vuole influenzare Baghdad e avere una pedina di scambio con gli americani. Proprio in uno di questi gruppi di jihadisti siriani viene accolto Ahmad che prende il nome di battaglia di Abu Mohamad al Jolani. Non sa che a organizzare la rete di reclutamento e il supporto ci sono uomini dell’intelligence siriana come Mohammad Mansoura. È quest’ultimo a far piovere i dollari su di loro, prendendoli dalle casse del regime di Damasco.

Nelle notti all’addiaccio passate in Iraq, nascosto con la sua cellula Qaedista nei dintorni di Mosul, Jolani diviene collaboratore di Abu Musab al Zarqawi, il numero uno di alQaida in Iraq. Sicuramente, sente parlare di Abu Musab al Suri, l’ideologo della Jihad, quello che ha scritto un volume di 1600 pagine sulla resistenza jihadista. Ancora un altro cambiamento. Nel 2006 scompare Zarqawi: le carte del mazzo jihadista si rimescolano. Jolani, diventato pratico del dialetto iracheno, dei vari accenti, viene arrestato e rinchiuso a Camp Bucca, perché le autorità lo credono iracheno. Quel giorno, Hussein al Shara guardava fuori dalla finestra della sua casa al Mezzeh, a Damasco: “Dov’è mio figlio?”, si sarà chiesto. Sapeva che era andato a combattere, era a conoscenza perfino del gruppo o lo immaginava. La guerra agli americani era giusta, pensava, ma nel nome del nazionalismo.

Negli stessi istanti, in una cella piccolissima in Iraq, gli uomini ripetevano il mantra: “Lottiamo contro i crociati americani in nome di Dio”. Per Jolani e gli altri, ogni giorno che passavano rinchiusi, ogni momento di violenza a cui venivano sottoposti, sedimentava in loro la certezza di portare avanti “la causa di Dio”, fi sabilillah. Su questo sentiero incontra Abu Baker al Baghdadi, futuro fondatore dello Stato Islamico. Usciti dal carcere, entrambi espandono la rete di contatti. Poi, nel 2011, tutto cambia, ancora una volta. Jolani, in comune accordo con Baghdadi, taglia il confine con la Siria accompagnato da una decina di jihadisti. Nel 2012 fonda al Nusra, un progetto qaedista tutto siriano. Non rivelerà subito di combattere insieme allo Stato Islamico, al quale successivamente fornirà la macchina logistica in Siria.

Quei due anni, il 2011 e il 2012, saranno centrali per il radicalismo in Siria. Con una amnistia, il governo siriano scarcera centinaia di fondamentalisti. I compagni di cellula che con Jolani erano andati in Iraq a combattere la Jihad sono fuori. Zahran Alloush, creatore dell’esercito dell’Islam, è uno di quelli. Con lui anche Hassan Abboud, iniziatore del gruppo salafita di Harar al Sham, che controllerà il nord della Siria. E proprio con quest’ultimo al Jolani avrà diversi scontri, fino a vincere, intestandosi Idlib e spezzando i legami con l’Isis. Il pragmatismo di Jolani, fondamentalista convinto, lo ha condotto negli anni a rassicurare: “Non abbiamo progetti internazionali. Solo la Siria”, come se il suo radicalismo fosse nazionalista.

D’altronde lui, Abu Mohamad al Jolani, oggi si presenta al mondo con il suo vero nome: Ahmad Huseyn al Shara. E ha cambiato il registro comunicativo, magari in onore del padre che, nel suo ultimo libro, Leggere la resurrezione siriana, scrive che “l’unico futuro è quello di costruire uno Stato civile e democratico; un pluralismo basato sulla cittadinanza senza discriminazioni di razza, religione o setta, attraverso la stesura di una nuova costituzione per il Paese che ne garantisca la sovranità assoluta del popolo, rispetto delle libertà, pluralismo politico, subordinazione delle istituzioni alle leggi e rimozione dell’esercito e delle forze di sicurezza dalla politica dopo aver portato i criminali davanti a tribunali equi”. Intanto Jolani, si è riseduto. “Siamo dentro Damasco”, lo avvisa la voce al telefono. E dal cassetto tira fuori una foto di quando era piccolo, seduto sulle gambe del padre.

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