Stati Uniti

Trump supera il primo test: Johnson speaker della Camera

Rientra il dissenso interno, rieletto al primo voto il candidato voluto dal presidente eletto

dal nostro corrispondente Marco Valsania

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NEW YORK - Mike Johnson è stato rieletto speaker della Camera americana al termine di un voto combattuto e teso. Johnson ha strappato il minimo dei voti necessari, 218 su 234, superando in extremis le divisioni interne che segnano il partito repubblicano nonostante stia inaugurando una stagione politica dove controllerà entrambi i rami del Congresso oltre alla Casa Bianca con Donald Trump.

La scelta dello Speaker era considerata un passo cruciale verso l’unità dei conservatori americani e una dimostrazione di essere in grado di perseguire le priorità di Trump. Per Trump stesso, che aveva esplicitamente appoggiato Johnson quale suo prescelto, era diventata un test della sua influenza sul partito. Rimane da vedere se questa ritrovata unità saprà persistere.

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Johnson, in realtà, in un clima di grande incertezza era parso fallire al primo conteggio dei voti. Un fallimento parso sicuro quando il deputato Ralph Norman della South Carolina non lo aveva votato, seguito poi da altri due, Keith Self del Texas e Thomas Massie del Kentucky. E un manipolo di repubblicani aveva aspettato fino all’ultimo prima di esprimersi per lo speaker uscente, mostrandosi recalcitrante. Ma il voto non è stato chiuso e nei 45 minuti successivi Johnson e i suoi alleati hanno persuaso due dissidenti, Norman e Self, a cambiare posizione e garantirgli il successo.

Un voto carico di incognite

Il voto per lo speaker è un rito nel quale i deputati rispondono all’appello uno ad uno e esprimono pubblicamente la loro preferenza. A renderlo particolarmente carico di incognite è stata una maggioranza repubblicana tra i deputati tra le più risicate nella storia del parlamento, 219 contro 215 democratici. Johnson, con tutti presenti, doveva così ottenere un consenso quasi unanime tra i conservatori, 218 compagni di partito, con i democratici impegnati a esprimersi compatti per il loro leader Hakim Jeffries.

Il voto tra i deputati è stato reso ancora più urgente e rilevante dall’appuntamento del 6 gennaio, quando il Congresso ha in programma di certificare l’esito delle urne presidenziali e quindi la vittoria di Trump. La figura dello speaker è essenziale per tutti i lavori della Camera e in sua assenza poteva diventare impossibile convocare le camere in sessione riunita il 6 gennaio.

Sanare fratture tra i repubblicani appare indispensabile per mettere a tacere anche i dubbi sulla capacità future dell’amministrazione Trump, una volta insediata, di far avanzare con successo la sua ambiziosa agenda in parlamento, in supporto a dazi commerciali, giri di vite sull’immigrazione, riforme del governo per ulteriori sgravi fiscali. È ancora fresco il ricordo che, due anni or sono, i repubblicani erano stati costretti a ricorrere a 15 votazioni in più giorni per ovviare all’opposizione interna ed eleggere uno speaker, allora Kevin McCarthy. Una battaglia che lasciò però ferite irrisolte e paralizzanti tra le diverse correnti - moderate, populiste e radicali - e che alla fine vide McCarthy sfiduciato e sostituito proprio da Johnson, deputato della Louisiana.

L’endorsement di Trump

Conscio della posta in gioco, nelle ore precedenti il voto per lo speaker, Trump era sceso direttamente in campo a favore di Johnson inviandogli un messaggio di auguri. E nel corso del voto aveva poi telefonato ai dissidenti perchè si allineassero senza proteste.

Il presidente eletto aveva anche rilanciato il video di una storica critica di Johnson, leader dell’estrema destra populista del partito, la deputata della Georgia Marjorie Taylor Greene, che a sua volta aveva in questa occasione offerto sostegno allo speaker e invitato l’intero partito a porre fine a «drammi» interni. Greene l’anno scorso aveva invece minacciato una crociata per estromettere proprio Johnson e una più ampia pattuglia di deputati ultra-conservatori aveva denunciato come tradimento i suoi accordi con i democratici per far passare provvedimenti di budget che evitassero paralisi del governo federale.

Le difficoltà tra i repubblicani erano state rispecchiate dal discorso ufficiale che verso metà giornata aveva presentato il nome di Johnson per il voto, affidato alla deputata Lisa McClain: «Abbiamo l’opportunità di mettere di nuova l’America davanti a tutto», aveva detto. Per poi però indicare che «nessuno speaker è perfetto e mai lo sarà. Raggiungere la perfezione richiede passi incrementali e dure decisioni. Nessuno di noi otterrà esattamente ciò che vuole».

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