Il governo militare del Myanmar - l'ex Birmania - ha annunciato il rilascio di 5.864 prigionieri, tra i quali 180 stranieri.
Si tratta di una amnistia decisa in occasione del giorno dell'Indipendenza: ma anche del tentativo di alleviare le pressioni interne e internazionali contro il governo golpista, che da tempo tenta a fatica di contenere la ribellione anche armata di numerose minoranze etniche e politiche.
Il Myanmar è in subbuglio dall'inizio del 2021, quando i militari rovesciarono con un colpo di Stato il governo civile, regolarmente eletto, e repressero con la violenza le proteste pro-democrazia. La giunta ha promesso di tenere elezioni politiche quest'anno, ma il piano è stato ampiamente condannato dai gruppi di opposizione come una farsa.
Tra coloro che sono ancora incarcerati c'è la premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, attivista democratica ed ex leader del Paese. La 79enne sta scontando una condanna a 27 anni legata a 14 accuse penali che vanno dalla frode elettorale alla corruzione. Secondo i suoi avvocati e le associazioni per i diritti umani si tratta di condanne strumentali.
Secondo l'ONU, più di 3,5 milioni di persone in Myanmar sono sfollate - 1,5 milioni in più rispetto a un anno fa. I conflitti armati che ora coinvolgono la maggior parte delle regioni del Paese "ha costretto i residenti a fuggire dalle proprie case e abbandonare i mezzi di sussistenza in numero record", commenta l'ufficio dell'Onu per gli affari
umanitari (Ocha): "Al 16 dicembre si stima che fossero sfollate più di 3,5 milioni di persone, oltre il 6% della popolazione di 57 milioni, per circa un terzo bambini".