Il repubblicano Mike Johnson è stato rieletto Speaker della Camera Usa con i 218 voti repubblicani di cui aveva bisogno. C’è riuscito grazie al cambiamento di rotta di due deputati del Gop (Great Old Party), che in prima battuta non avevano votato per lui. Johnson ha ottenuto 218 voti contro i 215 ottenuti da Hakeem Jeffries, il candidato democratico. Deputato della Louisiana, lo Speaker uscente è stato rieletto alla guida della Camera nel primo giorno del nuovo Congresso degli Stati Uniti (il 119esimo). Il via libera è arrivato con un colpo di scena: all'inizio due rappresentanti del suo stesso partito avevano votato per un altro candidato - il deputato della South Carolina Ralph Norman per Jim Jordan e quello del Texas Keith Self per Byron Donalds - mettendo a rischio l'approvazione, perché i Repubblicani hanno una risicata maggioranza alla Camera. Ma dopo una trattativa (pare dopo una telefonata del presidente Donald Trump), Norman e Self hanno cambiato voto, scegliendo Johnson. Thomas Massie, il suo più grande oppositore, è rimasto l'unico repubblicano a confermare il suo voto per un altro candidato. Alla fine sono andati a Johnson 218 dei 219 voti disponibili.
Test superato. Ma il Gop ha la maggioranza più fragile degli ultimi 100 anni
Positivo quindi il primo banco di prova per il presidente eletto e per il suo Gop. Lo speaker uscente si era ricandidato dicendosi fiducioso di farcela al primo scrutinio. Dalla sua aveva l'endorsement del tycoon, che aveva profetizzato “un voto di successo” e che nel giorno della verità gli aveva fatto gli auguri su Truth. Ma la strada appariva in salita per un partito che ha la maggioranza più risicata in quasi 100 anni: 220 seggi contro i 215 dei democratici. I repubblicani inoltre ne hanno già perso uno (Matt Gaetz, dimessosi dopo essersi ritirato dalla nomina a ministro della Giustizia per scandali sessuali), mentre Massie aveva detto alla vigilia che non intendeva sostenere Johnson. Quest'ultimo quindi non poteva perdere neppure un altro voto del suo partito per arrivare al quorum di 218, nel caso - poi verificatosi - che i dem fossero granitici. La votazione era un test sulla capacità del presidente eletto di tenere insieme le varie fazioni del Grand Old Party in una maggioranza fragilissima.
Nuove uscite in vista, per Johnson obbligatorio trattare coi dem per far passare i provvedimenti
Johnson dovrà ora fare i conti con altre due perdite dopo l'insediamento di Trump: i deputati Mike Waltz ed Elise Stefanik, che entreranno a far parte della nuova amministrazione rispettivamente come consigliere per la Sicurezza nazionale e ambasciatrice all'Onu (ruolo che, a differenza del primo, richiede la conferma del Senato). Per elezioni suppletive occorreranno mesi. Quindi lo speaker avrà bisogno dell'appoggio temporaneo dei dem per far passare i provvedimenti. Difficile far decollare subito l'agenda di Trump, dal taglio delle tasse alla stretta sull'immigrazione. In questo contesto, ogni singolo deputato potrebbe diventare l'ago della bilancia acquistando un'influenza sproporzionata.